mercoledì 31 ottobre 2012

Sulle ore di insegnamento parte 2

Pubblico la seguente lettera redatta da un gruppo di insegnanti di una scuola della provincia di Milano. 

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Signor Ministro,

le scriviamo pubblicamente per chiederle di dimettersi dalla carica che attualmente ricopre.
Per noi insegnanti il radicale cambiamento dell’orario è anche un problema sindacale, è anche un drammatico caso di incremento della disoccupazione ma è, in primo luogo e soprattutto, una questione morale.
Per questo siamo indignati, perché riteniamo che Lei, Signor Ministro, ci abbia insultato, proponendo le sei ore in più di orario. Non importa come finirà, l’offesa rimarrà e Lei deve assumersi la responsabilità di aver contribuito in modo decisivo all’affossamento della dignità degli insegnanti e della scuola stessa. Aggiungere ad un lavoratore, qualsiasi lavoratore, sei ore in più significa dirgli due cose. La prima: finora non hai lavorato, finora hai rubato una parte del tuo stipendio. La seconda: il tuo lavoro conta così poco che se anche aggiungi 6 ore non cambia nulla, quello che fai è talmente insignificante che il come lo fai ci è del tutto indifferente.
Non esiste una terza possibilità e tutte e due quelle implicite nella richiesta di fare sei ore in più sono estremamente offensive.

Come Lei sa il contratto degli insegnanti prevede tre momenti di lavoro:
1 Orario di insegnamento: 18 ore settimanali
2 Attività collegiali: 80 ore annuali
3 Funzioni dovute (orario senza vincoli)

Su questa terza voce si esercita l’ipocrisia. Comprende tutto quello che rende realmente possibile il funzionamento della scuola, lo svolgimento delle lezioni, l’imparare da parte degli studenti. Può esistere una scuola in cui i compiti non vengano corretti, in cui le lezioni vengano improvvisate, in cui non ci sia programmazione, in cui non esistano verbali, in cui non si svolgano scrutini, in cui i compiti a casa vengano ignorati, in cui chi insegna non apra libro da trent’anni? Chiaramente e senza eccezioni no.
Dire che un insegnante lavora 18 ore, come lei sembra avallare, è come dire che un avvocato lavora solo quando è in tribunale; che un magistrato lavora solo quando tiene pubblicamente un processo, che un docente universitario lavora 120 ore all’anno e cioè solo quando fa lezione, che un giornalista lavora solo quando scrive. Si finge di dimenticare, cioè, il lavoro sommerso che c’è dietro quello pubblicamente visibile: ed è dal lavoro sommerso che dipende la qualità del lavoro del magistrato, dell’avvocato, del giornalista, del docente universitario e dell’insegnante.
Le ricerche effettuate ( ci sono Signor Ministro) dicono che dietro ogni ora insegnata c’è ne è almeno un’altra per tutto il resto: non solo cose fondamentali, Signor Ministro, come la preparazione, la valutazione, la progettazione; anche attività banali come fare le fotocopie. E’ tempo lavoro, funzione dovuta e quindi non discrezionale, non facoltativa. Lavoro in parte svolto a casa, parte a scuola, parte in altri luoghi, non ha nessuna importanza.
Aggiungere sei ore in alcuni casi significherà aggiungerne quindi dodici, da 36 a 48, contro ogni legge dello stesso stato che lo impone, contro l’ Europa irresponsabilmente evocata.
Ci sono insegnanti che lavorano meno, Signor Ministro? Certamente sì, c’è di tutto. Chi non fa niente non è spaventato, ci creda, da sei ore in più. Farà niente per sei ore in più. Chi lavora seriamente potrà scegliere se provare comunque a sostenere la qualità del suo lavoro anche contro quanto suggerisce il suo stesso datore di lavoro oppure semplicemente rinunciare. E di questo le famiglie, gli studenti, il Ministro dovrebbero preoccuparsi. E molto.
Il sacrificio non è chiesto a noi, è chiesto ai cittadini. La scuola in Italia, lo dovrebbe sapere, funziona ancora perché la maggior parte degli insegnanti crede nella funzione che svolge. Lei ci invita a non crederci più. Possiamo anche acconsentire, ma sia ben chiaro che la responsabilità è tutta Sua.

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