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Signor Ministro,
le scriviamo pubblicamente per
chiederle di dimettersi dalla carica che attualmente ricopre.
Per noi insegnanti il radicale
cambiamento dell’orario è anche un problema sindacale, è anche un
drammatico caso di incremento della disoccupazione ma è, in primo
luogo e soprattutto, una questione morale.
Per questo siamo indignati, perché
riteniamo che Lei, Signor Ministro, ci abbia insultato, proponendo le
sei ore in più di orario. Non importa come finirà, l’offesa
rimarrà e Lei deve assumersi la responsabilità di aver contribuito
in modo decisivo all’affossamento della dignità degli insegnanti e
della scuola stessa. Aggiungere ad un lavoratore, qualsiasi
lavoratore, sei ore in più significa dirgli due cose. La prima:
finora non hai lavorato, finora hai rubato una parte del tuo
stipendio. La seconda: il tuo lavoro conta così poco che se anche
aggiungi 6 ore non cambia nulla, quello che fai è talmente
insignificante che il come lo fai ci è del tutto indifferente.
Non esiste una terza possibilità e
tutte e due quelle implicite nella richiesta di fare sei ore in più
sono estremamente offensive.
Come Lei sa il contratto degli
insegnanti prevede tre momenti di lavoro:
1 Orario di insegnamento: 18 ore
settimanali
2 Attività collegiali: 80 ore annuali
3 Funzioni dovute (orario senza
vincoli)
Su questa terza voce si esercita
l’ipocrisia. Comprende tutto quello che rende realmente possibile
il funzionamento della scuola, lo svolgimento delle lezioni,
l’imparare da parte degli studenti. Può esistere una scuola in cui
i compiti non vengano corretti, in cui le lezioni vengano
improvvisate, in cui non ci sia programmazione, in cui non esistano
verbali, in cui non si svolgano scrutini, in cui i compiti a casa
vengano ignorati, in cui chi insegna non apra libro da trent’anni?
Chiaramente e senza eccezioni no.
Dire che un insegnante lavora 18 ore,
come lei sembra avallare, è come dire che un avvocato lavora solo
quando è in tribunale; che un magistrato lavora solo quando tiene
pubblicamente un processo, che un docente universitario lavora 120
ore all’anno e cioè solo quando fa lezione, che un giornalista
lavora solo quando scrive. Si finge di dimenticare, cioè, il lavoro
sommerso che c’è dietro quello pubblicamente visibile: ed è dal
lavoro sommerso che dipende la qualità del lavoro del magistrato,
dell’avvocato, del giornalista, del docente universitario e
dell’insegnante.
Le ricerche effettuate ( ci sono Signor
Ministro) dicono che dietro ogni ora insegnata c’è ne è almeno
un’altra per tutto il resto: non solo cose fondamentali, Signor
Ministro, come la preparazione, la valutazione, la progettazione;
anche attività banali come fare le fotocopie. E’ tempo lavoro,
funzione dovuta e quindi non discrezionale, non facoltativa. Lavoro
in parte svolto a casa, parte a scuola, parte in altri luoghi, non ha
nessuna importanza.
Aggiungere sei ore in alcuni casi
significherà aggiungerne quindi dodici, da 36 a 48, contro ogni
legge dello stesso stato che lo impone, contro l’ Europa
irresponsabilmente evocata.
Ci sono insegnanti che lavorano meno,
Signor Ministro? Certamente sì, c’è di tutto. Chi non fa niente
non è spaventato, ci creda, da sei ore in più. Farà niente per sei
ore in più. Chi lavora seriamente potrà scegliere se provare
comunque a sostenere la qualità del suo lavoro anche contro quanto
suggerisce il suo stesso datore di lavoro oppure semplicemente
rinunciare. E di questo le famiglie, gli studenti, il Ministro
dovrebbero preoccuparsi. E molto.
Il sacrificio non è chiesto a noi, è
chiesto ai cittadini. La scuola in Italia, lo dovrebbe sapere,
funziona ancora perché la maggior parte degli insegnanti crede nella
funzione che svolge. Lei ci invita a non crederci più. Possiamo
anche acconsentire, ma sia ben chiaro che la responsabilità è tutta
Sua.
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